Contributi degli studenti

Ti va di prendere un caffè ? – Martina Bigos

Alla gente piace piangere sul latte versato;

io piango ogni qual volta mi rovescio il caffè addosso

Anthony Liccione

Proprio quando arrivo tardi a scuola e mi dimentico il cellulare sul banco ed il professore mi ricorda che forse dovrei leggermi qualche pagina di sociologia, che quasi per incanto, finisco per inciampare, proprio su quella pagina: Una tazzina di caffè. Si tratta realmente di una bellissima pagina scritta dal noto sociologo Anthony Giddens e credo, che faccia riferimento al testo: “Fondamenti di Sociologia”, tradotto da Baldini, pubblicato dalla casa editrice Il Mulino nel 2000 e che per una serie di motivi mi ritrovo, ancora una volta sul banco: mi chiedo perché il caffè è così buono da bere ma ancora più straordinario da leggere. E poi, a pensarci a fondo è sempre la stessa pagina. Chi sa il caffè si legge? O si beve? Dal punto di vista della sociologia generale il caffè si legge, si beve, ma soprattutto si studia alle otto di mattina, quando gli altri, intendo dire tutto il mondo dorme ed io mi ritrovo il mio bellissimo libro ancora sul banco.  Eppure si tratta solo di una pagina che non riesco a leggere e di una sola tazzina di caffè che mi sono scordata di bere, eppure quante cose da questo semplice gesto emergono dallo sguardo sociologico di Giddens.

Consideriamo il caffè, non come una semplice bevanda che idrata il corpo di chi lo beve, ma anche attribuendogli un valore simbolico, dato che non è importante ciò che consumiamo durante quel piacevole contatto, ma qualcosa che di sicuro va oltre, non solo un incontro bensì qualcosa di ancora più fantasmagorico e straordinario: l’incontro stesso. Possiamo infatti attribuire al caffè ad un gesto quotidiano. Forse innocuo, eppure innocuo e indolore non è in quanto, non sono pochi coloro che dopo il caffè scelgono di fumarsi una calda e bionda sigaretta. Sono 250.000 i fumatori che affermano che la sigaretta aumenta il desiderio di caffeina e non di certo il contrario: ecco che il cane che si morde la coda. Il vizio della sigaretta dopo il caffè o meglio il caffè dopo una nuova sigaretta diventa così un circolo vizioso.

Forse sarà solo un modo per sentirsi svegli. Si può dire che se una persona fuma dieci sigarette al giorno più di un’altra, consuma anche l’equivalente di una tazzina e mezza di caffè in più al giorno; alla fine di questo semplice conteggio il rapporto non sarà di tipo inverso: la caffeina si tramuta nella causa, che a far venir voglia di nicotina, o forse l’effetto che lo spinge a ricominciare da capo e fumarsi altre 20 sigarette e una nuova tazzina e mezzo di caffè. Quindi un nuovo cane si morde una nuova coda e si ricomincia da capo. Il circolo vizioso continua ancora una volta.

E allora perché smettere di fumare? Tanto vale smettere prima di bere una calda e potente tazzina di caffè e poi magari riflettere sull’importanza della dicotomia che lega il rapporto congenito sigaretta e caffè. Nei paesi occidentali la caffeina non viene neanche considerata come una droga, al contrario è forse la prima causa che induce al tabagismo e su questo varrebbe la pena riflettere.

Sorseggiare il caffè è quasi un presupposto teorico che ha portato l’occidente a desiderare una sigaretta, forse anche solo una pausa lavoro, un momento di riflessione, una forma di protesta, un luogo figurato per esprimere la propria libertà: non a caso sul posto di lavoro non si fuma. Come altri prodotti, diffusi su scala mondiale, il caffè è diventato un prodotto di largo consumo, ma non è così vietato come la bionda sigaretta. E allora protesta per protesta, varrebbe la pena vietare il caffè, le sigarette, le pause lavoro, il consumismo, la moda, la bellezza, il piacere, i soldi, il dialogo, la letteratura, l’illuminismo, e la sociologia. No, su questo divieto non ci sto. A qualcosa dobbiamo rinunciare, non saranno le sigarette e forse neanche il caffè, ma ad una cosa non rinuncerò mai: la capacità di ragionare, pensare, riflettere e scrivere perché mi permette di essere me stessa. No, di sicuro non è il caffè e non sono le sigarette che mi contraddistinguono, ma qualcosa di molto più profondo.

Forse è la capacità di ragionare perché è solo attraverso la ragione che riesco a prendere le pause per dare spazio alla mente, quando mi dimentico di portare a scuola il libro di testo. Pensare perché mi permettere di riflettere sul significato più proprio delle parole.

Riflettere perché è solo attraverso la riflessione che riesco a ragionare su come, quando e dove posso decidere di essere me stessa. Scrivere perché mi permette di capire il significato delle parole che ho dentro.

Ed è solo attraverso certe parole che riesco ad essere io: Martina Bigos, una studentessa della Terza B dell’Istituto della Regina Madre, il Margherita di Savoia e che per la prima volta ha avuto il coraggio di scrivere in rete, nello spazio colonizzato dal web.

 

 

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