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Ludovica Ranucci – I giovani raccontano i giovani –

Avevo l’età in cui i genitori
si trasformarono di colpo da
gente che sa tutto in gente
che non sa niente.

Margaret Atwood

 

Possiamo considerare l’adolescenza uno dei periodi più complicati e belli della vita, ognuno si trova a fare esperienze di ogni tipo che spesso possono sembrare particolarmente rilevanti, tanto da incidere considerevolmente non solo sull’umore o sullo stato d’animo ma addirittura sulla personalità.

Nonostante l’adolescenza sia un fenomeno naturale, poiché ha inizio con la pubertà e la maturazione corporea degli individui, questa è anche distinta per cultura, perché è diversa per ognuno di noi e notevolmente condizionata dai fattori sociali di appartenenza.

Quasi sempre ci si trova a studiare gli adolescenti tramite delle teorie evolutive di persone adulte, quali possono essere i grandi psicologi del passato come Erik Homburger Erikson con gli “stadi dello sviluppo psicosociale” che comprendono anche la fase adolescenziale. Il nocciolo della questione però riguarda non solo la capacità di porsi tali interrogativi ma soprattutto di provare a chiedersi cosa pensano i giovani di tale affermazioni?

La maggior parte degli adolescenti al giorno d’oggi non ha un buon rapporto con i propri genitori o più in genere con la figura degli adulti. Ciò accade perché spesso le persone più grandi si trovano a giudicare i comportamenti dei giovani non chiedendosi però che cosa effettivamente li spinga ad agire in un determinato modo.

Lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, infatti, paragona l’adolescenza a una seconda nascita, quella sociale perché consiste sia nella dimissione dal ruolo di figlio, sia nella costruzione di una propria identità adulta.

In questo periodo della vita così delicato i ragazzi hanno solo bisogno di essere compresi e nonostante la loro ricerca di autonomia, in qualche modo, necessitano di un appoggio morale. Spesso però le azioni contrastanti nei loro comportamenti creano rivalità e scontri con gli individui che li circondano.

Il modello biologico, in passato, ha interpretato questi eccessi emotivi adolescenziali come un processo causato da cambiamenti ormonali a partire dai 12 anni. Non c’è dubbio che essi siano causati da un interruttore biologico, ma di certo non possiamo limitare l’adolescenza a una questione ormonale. Essa, infatti, si appoggia maggiormente su dinamiche di natura sociale e relazionale[1]. fonti: campisipsicologo.com

Nell’età adolescenziale il gruppo dei pari è fondamentale, sia per quello che può essere un mezzo di confronto, sia per ottenere una maggiore comprensione. I giovani, infatti, hanno un rapporto molto unito con i propri compagni, soprattutto quelli che si frequentano anche nell’ambiente extrascolastico, tal volta morboso, che spesso li porta a provare gelosie ed invidie. Questo perché i ragazzi sono ancora alla ricerca di una propria identità e per farlo imitano quello che credono li porti ad essere inclusi nel contesto sociale in cui si trovano, banalmente seguendo le mode dei vestiti.

La maggior parte delle volte il gruppo dei pari diventa quasi più rilevante della famiglia, e la loro opinione sarà più considerevole e accettata di quella di un adulto. In questo periodo i coetanei prendono il posto dei familiari, restando però persone nuove e portatrici di atteggiamenti e valori diversi. Dal punto di vista psicologico la ricerca del “se identificativo” nel periodo adolescenziale porta davanti ad un costante bivio, da un lato abbandono e negazione dell’infanzia, e dall’altro la ricerca di un’autonomia adulta. È in questo passaggio che il ragazzo necessita di un supporto e tende a rivolgersi all’ambiente circostante – gruppo dei pari -, e non detto che tale gruppo riesca ad accettare tale identificazione. Anzi a ben vedere il gruppo dei pari risulta essere ancora più severo rispetto alla famiglia.

È proprio da questo, infatti, che nascono molti litigi con i propri genitori, perché il primo pensiero degli adolescenti è seguire i propri interessi e condividerli con altre persone. Gli adulti però faticano a comprendere il lato psicologico di questa fase, soprattutto con i figli primogeniti, non avendo mai sperimentato prima questi comportamenti, se non su sé stessi. Spesso, infatti, i genitori paragonano la loro adolescenza a quella di un figlio. Questo paragone però non solo è sbagliato, perché l’adolescenza varia ed evolve sempre per ogni individuo, ma è oltretutto dannoso per il ragazzo perché si sentirà sbagliato e in difficoltà.

A partire dal 1995, i nuovi nati sono coloro che appartengono alla generazione “iGen”, ossia ragazzi in possesso di uno smartphone. Grazie ad una serie di dati statistici la psicologa Jean Marie Twenge ne ha delineato una serie di caratteristiche distintive mettendole anche a paragone con le generazioni precedenti. Le tappe della vita si sono progressivamente spostate in avanti e il periodo adolescenziale si è allungato molto implicando una crescita lenta.

Di conseguenza è perfettamente normale che i genitori non riconoscano determinati comportamenti degli adolescenti di oggi, semplicemente perché sono totalmente differenti dal loro metro di paragone.

Un ruolo importante in questo periodo lo ha la scuola, essendo il luogo dove i ragazzi passano la maggior parte del tempo. Essa dovrebbe essere un luogo non solo di formazione e maturazione ma anche e soprattutto di accoglienza e preparazione alla vita futura.

I ragazzi la interpretano invece come un ostacolo da superare, poiché non si preoccupa minimamente dei loro bisogni, ma volge solamente alla valutazione con un voto. Ciò che si rischia perciò è che i ragazzi si sentano inferiori solo perché hanno una media minore rispetto agli altri, spesso confrontandosi o vantandosi con gli altri dei loro risultati. La verità, però, è che non ci si può ridurre a un voto che sicuramente non rappresenta né il grado di intelligenza, né quello di maturità.

Il problema però non è tanto la scuola ma spesso gli insegnanti, perché la maggior parte è priva di empatia, qualità invece fondamentale per un ruolo del genere[2].

In sintesi, questo ci fa capire quanto gli adolescenti siano sotto pressione in tutti gli ambiti e quanto, e soprattutto nei periodi delle valutazioni ci ritroviamo in cerca di qualcosa che ci rende ancora più nervosi, forse perché questo qualcosa che ci troviamo di fronte si chiama futuro.

[1] Si veda campisipsicologo.com

[2] Si veda funzioniobbiettivo.it

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