Contributi degli studentiGenerale

Bianca Prola – Liberi o Hackerati

Questa esistenza non tornerà più:
esse è preziosa e insostituibile.
Affinchè viviamo senza rimpianti
e essenziale avere uno scopo
concreto e porsi sempre nuove sfide.
È anche importante tendere verso
scopi specifici con tenacia,
un passo alla volta.

Daisaku Ikeda  

In questi giorni mi sono trovata più volte a riflettere sul pensiero di Yuval Noah Harari che ho conosciuto leggendo il supplemento culturale di Repubblica insieme a tanti articoli che possono essere considerati di poca importanza quando poi, riflettendoci a posteriori, ci si rende conto che hanno una rilevanza maggiore rispetto a ciò che abbiamo considerato sommariamente con superficialità.

Harari, storicosaggista e professore universitario israeliano, ha scritto una tesi che possiamo riassumere nel seguente enunciato: sulla democrazia liberale incombe una minaccia rappresentata dal sempre più pervasivo potere della tecnologia che presto potrà portare a hackerare le nostre menti, facendoci con un gioco di parole pensare pensieri di altri, provare sentimenti di altri e scegliere politici voluti da altri. Dal punto di vista di analisi del concetto introdotto da questo neologismo possiamo definirlo: violare un sistema informatico per danneggiarlo o per acquisire informazioni riservate[1]. Potremo combattere questa minaccia solo mettendo in luce il falso presupposto su cui si fonda la democrazia liberale, cioè “il mito del libero arbitrio”. Per Harari siamo di fronte ad una minaccia del tutto nuova, immensamente subdola e penetrante, per rispondere alla quale l’ultima cosa che occorre fare è continuare a credere alla nostra capacità di libera decisione, come invece abbiamo fatto finora incantati dal mito del libero arbitrio.

Innanzitutto, per chiarire cosa sia il libero arbitrio, prederei in prestito l’articolo 1705 del Catechismo cristiano che probabilmente si fonda, in questo caso, sulla tradizione ebraica: “In virtù della sua anima e delle sue potenze spirituali d’intelligenza e di volontà, l’uomo è dotato di libertà”. L’uomo, di conseguenza, ha tutte le carte in regola per pensare, decidere e agire seconde le sue libere volontà.

A questo punto, si tratta insomma di capire se viviamo dunque in balia dei mass media, dei social network e di tutte le nuove tecnologie che ci comandano condizionandoci più o meno consapevolmente; oppure se rimane in noi la capacità di assumere decisioni non istintive ma ponderate, non indotte ma personali, e quindi, veramente libere.

Il concetto di libertà oggi assume un significato anche più profondo rispetto al passato. Negando il libero arbitrio, Harari si ritrova in compagnia di Spinoza, Schopenhauer ed Einstein e prima ancora di quei teologi cristiani che parlavano di “servo arbitrio”. Vorrei partire proprio dalla posizione di Einstein perché in lui possiamo scorgere un’evoluzione interiore che lo condusse dapprima ad aderire alla schiera dei “negazionisti” per poi passare alla sponda opposta.

Vediamo adesso nel dettaglio cosa intendiamo con questo concetto: Einstein era un convinto sostenitore del determinismo e nel suo scritto intitolato “Il mio Credo” composto nel 1932 afferma: “Io non credo nella libertà del volere. La frase di Schopenhauer: ‘L’uomo può sì fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole’ mi accompagna in tutte le situazioni della vita”. Questo è esattamente il punto di vista di Harari. Undici anni dopo però, nel 1943, in piena guerra, Einstein interviene alla radio con un appello nel quale afferma: “Il fattore più importante nel dare forma alla nostra esistenza umana è individuare e fissare una meta; e la meta è una società di esseri umani liberi e felici che si prodigano con costante sforzo interiore per liberarsi dal retaggio degli istinti antisociali e distruttivi” (in Pensieri, idee, opinioni, Newton 2006, p. 221).

Ecco come possiamo focalizzare l’attenzione sul seguente concetto: se occorre “fissare una meta” per dare forma alla nostra esistenza umana allora non siamo succubi di un rigido determinismo. Con quelle parole del ’43 Einstein giunse a dimostrare il contrario di quanto ritenevano Schopenhauer, lo stesso Einstein nel ’32 e oggi Harari: cioè che l’essere umano può arrivare a volere anche quello che di per sé non vorrebbe. In questa differenza tra volere immediato o istintivo e volere ponderato o responsabile, consiste precisamente lo spazio della libertà.

Mi torna ora in mente, a questo proposito, il pensiero dell’unico sociologo riconosciuto all’estero nei primi anni del ‘900, Vilfredo Pareto, espresso nel Trattato di sociologia generale (1916). Secondo il sociologo italiano le azioni umane possono essere logiche, cioè esito di un ragionamento, o non-logiche, originate cioè da quegli impulsi, da quegli stati emotivi a cui la natura umana obbedisce o dal bagaglio culturale che sostiene la condotta umana.

Da questo punto di vista potremmo affermare che la condotta hackerata di cui parla Harari genera azioni che Pareto classifica nel secondo tipo.

Se si parla di libero arbitrio non si può non citare Aurelio Agostino che, approfondendo la polemica antipelagiana, distingue il libero arbitrio, di cui l’uomo dispone, dalla libertà, che è propria solo di coloro che Dio ha destinato alla salvezza. Il libero arbitrio infatti è la capacità di scegliere tra le diverse possibilità mentre la libertà è la capacità di perseguire quelle scelte che ci si è proposti, realizzandole. La libertà, secondo lo stesso, non è in potere dell’uomo, bensì un dono della grazia.Se da occidente volgiamo lo sguardo ad oriente troviamo la straordinaria visione del Buddismo. La filosofia e religione buddista affronta l’argomento della libera volontà e più in generale della libertà personale da diversi punti di vista.

Prendiamo ad esempio la teoria delle 9 coscienze. Qui la parola coscienza, in sanscrito vignana, è da intendersi come “discernimento” e indica i modi in cui l’individuo percepisce il mondo circostante e di conseguenza ragiona e agisce. Le prime 5 coscienze umane si riferiscono ai 5 sensi. La sesta coscienza è la facoltà che permette di coordinare le precedenti. Se ad esempio vedo un cane e carezzo il suo pelo, mediante la sesta coscienza posso affermare che questo è un cane. La settima coscienza definita Alaya, che letteralmente significa magazzino, è quella che permette il ragionamento e la facoltà di giudizio. Quest’ultima è la coscienza che conserva il nostro karma, cioè tutte le esperienze passate siano esse pensieri, parole o azioni. Eccoci arrivati al punto importante per la nostra discussione. Nell’ottava coscienza sono immagazzinati tutti i nostri condizionamenti, la nostra educazione, le esperienze passate. Le precedenti 7 coscienze poggiano sull’ottava coscienza e questo porta con sé importanti implicazioni: se, da piccola sono stata morsa da un cane, quando le mie prime sei coscienze mi suggeriscono che sono di fronte a questo animale, la settima coscienza, sulla base delle mie esperienze precedenti, ossia in virtù del mio karma, mi farà pensare di essere davanti a un animale pericoloso, una bestia feroce che va combattuta o evitata. Ecco allora che sulla base dell’ottava coscienza il mio pensiero e il mio comportamento non è libero, ma schiavo dei condizionamenti a cui la mia storia personale mi ha sottoposto. Il mio pensiero e le mie azioni sono schiave di un determinismo che mi incatena.

Esiste però, a un livello ancora più profondo, la nona coscienza che si chiama Amala, senza macchia, cioè pura, incondizionata. E’ la nostra natura illuminata, la natura di Budda o Buddità. Essa non è condizionata dalle nostre esperienze passate perché vive ad un livello più profondo ed  è libera dalle catene del karma. Non essere hecherati significa in tal senso non essere condizionati dal pensiero altrui.

Attraverso la pratica buddista si può risvegliare questa coscienza e vivere basandosi su di essa, assaporando una profonda libertà interiore, un senso critico autentico e una profonda armonia ed empatia con tutte le forme dell’universo. Di sicuro il buddismo così come altri percorsi sono importanti proprio perché ci aiutano ad avere una nostra coscienza e una libertà di pensiero fondamentali per la nostra autonomia e presa di coscienza.

In conclusione io ritengo che sì, noi tutti siamo in parte hackerati e influenzati dai fattori esterni e di conseguenza dalla società stessa. Questo avviene però a un livello “non-logico”. Allo stesso tempo però abbiamo la capacità di poter analizzare e focalizzare gli eventi e i nostri stessi pensieri con il nostro senso critico affermando così da che parte stare. Credo che noi giovani non saremo mai in grado di cambiare il mondo finché rimaniamo con il pensiero che l’autodeterminazione è un’illusione. Possiamo invece contribuire a cambiare il mondo solo se impariamo a riconquistare la nostra libertà più autentica cercando sempre di ascoltare e capire la tradizione storico-sociale che ha caratterizzato il nostro modo di pensare.

Fonti

1=https://www.google.com/search?q=hackerare+definizione&rlz=1C1UEAD_itIT990IT990&oq=hackerare+definizione&aqs=chrome..69i57j0i22i30.4634j0j15&sourceid=chrome&ie=UTF-8.

Andrea Sani, Alessandro Limguiti Sinapsi, storia della filosofia Editrice la scuola, Milano 2020.

[1] 1=https://www.google.com/search?q=hackerare+definizione&rlz=1C1UEAD_itIT990IT990&oq=hackerare+definizione&aqs=chrome..69i57j0i22i30.4634j0j15&sourceid=chrome&ie=UTF-8

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