La scuola è il nostro passaporto
per il futuro, poiché il domani
appartiene a coloro che oggi si
preparano ad affrontarlo.
Malcom X
Spesso la fragilità viene vista come una semplice debolezza su cui gli avvoltoi si annidano in attesa di colpire e terminare la preda ed è questo il caso delle grandi sconfitte
Spesso l’insuccesso scolastico viene visto come una semplice sconfitta e difficilmente si riesce a far capire agli studenti e alle famiglie che è in realtà è uno strumento educativo utile per affrontare nel migliore dei modi il mancato raggiungimento degli obiettivi scolastici, permettendo così agli studenti di prendere consapevolezza dei propri limiti e migliorare le proprie competenze. A volte si discute se chiamarla “bocciatura” come in realtà si chiamava in passato oppure svecchiandone il termine ma forse anche significato si preferisce parlare di “fermare uno studente”, ma quale valore diamo a questa pratica? Sarebbe sbagliato in senso antropologico chiamarla pratica in quanto in realtà non si rallenta il naturale progresso biologico ma viene isolato lo studente rispetto al gruppo dei pari. Sicuramente dal punto di vista formativo ha un valore importante considerando che o per conoscenze o per maturità la “bocciatura” ha un valore importante ma è anche vero che nella realtà dei fatti si tratta sempre di un’umiliazione. Se consideriamo il pensiero pedagogico di Don Milani, che, dopo la bocciatura di uno di alcuni studenti presso la scuola di Barbiana, scrisse una lettera ad una professoressa parafrasando il testo dei suoi allievi affermando così che bocciare è contrario al dettato costituzionale e rappresenta il fallimento dell’istituzione scolastica,in quanto non si po’ usare un “metodo uguale in un mondo di disuguali”; possiamo dunque riflettere sul sistema classista e gerarchico che prevaleva all’epoca una rigida selezione. Oggi l’approccio educativo è cambiato rispetto a quello del secolo scorso basata pensare per esempio alle sorelle Agazzi, che educavano i bambini non formando semplici scolari, e a quello di Hessen, che cercava una mediazione tra spontaneità e disciplina, rispettando così le caratteristiche individuali e orientandole verso qualcosa di migliore o di super-individuale. Non è un attacco all’istituzione scolastica o a questo strumento educativo, anche se, a volte, la bocciatura viene usata per etichettare lo studente come “difficile” e per perpetuare il vecchio modello di alunno ideale. Fermare uno studente dovrebbe essere una scelta consapevole, valutata cercando sempre e comunque diverse e forse possibili alternative caso per caso, evitando che si trasformi in una soluzione comoda e “giusta” per tutti. Il problema risiede nei mezzi e nelle motivazioni che portano alla sua applicazione. Non sempre si conosce a fondo la vita di uno studente, e sarebbe importante riflettere su eventuali difficoltà da superare o situazioni da indagare prima di ricorrere a questa pratica proprio perché ferisce e può incidere pesantemente sul futuro di uno studente. Un’analogia potrebbe essere quella di chiedere a un animale acquatico e terrestre di scalare un albero: per uno dei due sarebbe impossibile. Allo stesso modo, la scuola dovrebbe evitare di applicare criteri troppo generali che non tengano conto delle diverse capacità e delle diverse possibilità e delle condizioni sociali degli studenti. Altrimenti, che senso avrebbe parlare di pedagogia? Si rischierebbe solo di rinforzare l’idea che il voto rappresenti l’intelligenza di una persona come il semplice algoritmo di procedimento matematico.
Dopo una bocciatura, spesso lo studente sviluppa un senso di inadeguatezza che mina la sua motivazione, l’autostima e dunque la sua capacità di credere in se stesso. Questo pensiero può portare alla convinzione che, qualunque cosa faccia, non sarà mai abbastanza. La vera crescita consiste nel capire che questi pensieri non sono verità assolute, ma radici che possono essere sradicate, evitando che abbiano effetti psicologici negativi sullo studente. Il cambiamento deve arrivare anche dagli adulti, non solo dai giovani, soprattutto nell’ambito scolastico.
Nella mia esperienza, questa pratica è stata utile quando ho cambiato ambiente, distaccandomi dal pensiero che non fossi abbastanza, né come persona né come studentessa. Tuttavia, quando un professore mi ha considerata come Irene, e non come “caso perso”, chiedendomi cosa non andasse in me e riconoscendo i miei valori, ho capito il valore delle pie capacità. Ho capito che nella fragilità umana non si nasconde nessuna sconfitta ma si costruisce il valore della propria determinazione. Per questo al di la di quello che farò da grande porterò sempre con me la frase di Maria Montessori, “L’insegnante deve essere come un giardiniere che aiuta il fiore a crescere, non come un giudice che emette sentenze.”